Migranti, si cambia: stop fondi Ue ai Paesi che non li accolgono

Migranti, si cambia: stop fondi Ue ai Paesi che non li accolgono

di Cristiana Mangani
Sanzioni dissuasive o perdita di una parte dei fondi Ue, la possibilità per il migrante di scegliere tra quattro stati la sua destinazione finale, la ripartizione per quote in base al pil e alla popolazione: la riforma di Dublino IV continua ad agitare il dibattito politico tra i paesi della Ue. La sensazione è che la modifica del regolamento si scontrerà ancora una volta contro i muri sollevati dai paesi del patto di Visegrad. Negli ultimi mesi, l’Unione sembra aver preso coscienza degli sforzi compiuti da Italia e Grecia, sottoposti, per conformazione geografica, a ondate migratorie particolarmente difficili da gestire, anche se il negoziato continua a essere in salita.

DUE TESTI
Nel frattempo sono due le posizioni intorno alle quali si sta svolgendo il confronto all’interno dell’Unione: quella proposta dalla Libe, la Commissione del Parlamento europeo competente su Libertà civili, giustizia e affari interni. E quella della Commissione Ue. Il testo, approvato dal Parlamento a novembre del 2017, è il più innovativo. Mira ad abbandonare il criterio dello stato di primo ingresso, suddividendo i richiedenti asilo tra tutti i paesi membri, in base a un sistema permanente di quote. Vale il “principio di solidarietà ed equa ripartizione della responsabilità” imposto dall’articolo 80 del Trattato sul funzionamento della Ue in materia di migrazione. Che non vuol dire solo un vantaggio finanziario per gli stati che accolgono, ma anche un vero e proprio sostegno, quello che l’Italia chiede da tempo. 
In termini pratici, il migrante che arriva in Europa viene registrato e, nel caso in cui presenti richiesta di protezione internazionale, avrà una prima sommaria valutazione sulla ammissibilità da parte dello stato ricevente. Qualora la risposta sia favorevole, se il richiedente asilo ha un legame rilevante altrove nella Ue, verrà trasferito lì. E sarà quello il paese che esaminerà la sua domanda di asilo. Per legame rilevante si intendono i rapporti parentali. Il Parlamento ha ampliato il concetto di famiglia, che comprenderà tutti i figli minori, anche se sposati, i fratelli e i figli maggiorenni ancora a carico. 

STUDI E VIAGGI
Inoltre varrà il principio culturale o di soggiorno precedente: se un migrante ha conseguito un diploma accademico o professionale, oppure se ha già soggiornato legalmente in uno stato membro, rientrerà nella categoria. Una facilitazione individuata proprio per agevolare l’integrazione e la conservazione di legami costruiti. È previsto anche che fino a 30 persone possano chiedere di spostarsi insieme. Sebbene il gruppo non potrà scegliere in quale stato stabilirsi. Qualora non ci fossero parentele o legami, il richiedente asilo potrà indicare la sua destinazione da una lista di quattro stati: paesi con il numero più basso di richiedenti rispetto alla propria quota, e che cambieranno di volta in volta, in base all’accoglienza attuata. I costi dei trasferimenti saranno a carico del bilancio Ue. C’è, però, un limite e si verificherà nel caso in cui la domanda di protezione abbia probabilità molto scarse di essere accolta. Nel caso in cui si verificasse questa ipotesi, il migrante rimarrà nello stato di primo ingresso, e sarà quello a decidere sull’asilo.

PRESSIONE INSOSTENIBILE
Ben diversa la proposta della Commissione Ue, che prevede un aiuto degli altri stati solo nel caso in cui la pressione sul paese di primo ingresso raggiunga una soglia insostenibile (il 150 per cento di una quota stabilita in base a pil e popolazione). Solo in quel caso scatterà un meccanismo “di emergenza”. Su un punto le due linee di riforma sembrano trovare un accordo: sulla necessità di intervenire nei confronti degli stati che non rispettino le condizioni. L’obiettivo è quello della ripartizione tra tutti, anche perché, mettendo le spese per il trasferimento e l’accoglienza a carico del bilancio Ue, ciò eliminerà la possibilità per i più resistenti di trovare un appiglio di natura economica. La Commissione stabilisce allora che lo stato versi 250 mila euro per ogni richiedente non ricollocato sul territorio, mentre la Libe ritiene importante che chi disobbedisce perda una parte dei fondi Ue.
Arrivare a Dublino IV con una posizione che riequilibri il principio di solidarietà tra stati non sembra un lavoro facile. I paesi come quelli del patto di Visegrad hanno sviluppato il loro consenso politico proprio sulla resistenza all’invasione migratoria. E in attesa che il Consiglio dell’Unione europea passi in esame le novità, Cecilia Wikstrom, relatrice della proposta del Parlamento, ricorda che «nulla nei trattati obbliga gli stati a decidere all’unanimità», e che gli eventuali contrasti potranno essere superati da un voto a maggioranza qualificata.
 

Ultimo aggiornamento: Lunedì 9 Aprile 2018, 14:03
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