Riforma della Giustizia, sì a due Csm e carriere separate. L’ipotesi di un’Alta Corte

La premier Giorgia Meloni e il vertice a Palazzo Chigi: “Via libera prima delle Europee”

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di Francesco Bechis

Rivoluzione o pranzo di gala? Il governo accelera sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri: arriverà un via libera dal Cdm entro le Europee, nella terza settimana di maggio. Quanto basta per dare a Forza Italia una bandiera da sventolare in vista del voto Ue, come l’autonomia per la Lega e il premierato caro a Fratelli d’Italia. Il diavolo però è nei dettagli. E su questi si è incentrata ieri la riunione sulla Giustizia a Palazzo Chigi della premier Giorgia Meloni e il Guardasigilli Carlo Nordio con i responsabili del dossier: i sottosegretari Mantovano, Delmastro, Ostellari e Sisto, i presidenti di Commissione Bongiorno e Maschio.

«La approveremo entro le Europee», ha promesso Meloni. E un via libera alla Camera arriverà infine anche sull’abolizione dell’abuso di ufficio contenuto nel “Ddl Nordio”, annunciato in autunno e poi impantanato in un lungo iter parlamentare. Il piatto forte - e il più indigesto ai magistrati italiani, molti sul piede di guerra - è la riforma costituzionale per dividere in due la carriera di magistrati inquirenti e giudicanti. Un’intesa di massima c’è sui fondamentali. Ad esempio l’istituzione di due diversi Csm, con percorsi professionali separati e autonomi, dal concorso all’accesso.

LE DIVISIONI

È un punto di caduta su cui molto si è discusso in maggioranza. Un’ipotesi iniziale, caldeggiata da Delmastro e dallo stesso Mantovano, più sensibili alle istanze delle toghe, prevedeva un solo Csm con due sezioni separate. «Ma così la montagna avrebbe partorito un topolino», si sfogano forzisti e leghisti decisi a non annacquare la riforma.

Altra novità sul tavolo di Palazzo Chigi ieri: l’istituzione di un’Alta Corte per i ricorsi contro le decisioni dei due Csm, laico e togato. Oggi si possono impugnare davanti alle sezioni unite della Cassazione, con il riassetto in cantiere servirà invece una corte “mista”. Nello stesso pacchetto finirà la riforma elettorale del Csm che, salvo inversioni di marcia, introdurrà il sorteggio per la scelta dei membri togati. Una soluzione a lungo auspicata da Nordio che punta a scardinare il correntismo che ad ogni elezione guida la scelta dei giudici nel Consiglio. Intanto Meloni ha dato il via libero politico definitivo alla riforma a lungo sognata da Berlusconi e promessa dal centrodestra al governo. E insieme, nella riunione pomeridiana, ha invitato a usare prudenza per evitare di far deflagrare un nuovo scontro con la magistratura mentre le urne si avvicinano.

Non sarà facile, certo, a giudicare dalle reazioni delle associazioni dei togati che minacciano un’altra volta lo sciopero. In trincea l’Associazione nazionale magistrati, che chiede «un confronto a Nordio prima che la riforma sia legge».

Durissime le critiche piovute dall’Associazione dei magistrati europei che accusa il governo italiano di voler «nominare» anche i membri laici di Palazzo dei Marescialli. Ipotesi nettamente smentita però da via Arenula e Palazzo Chigi: la riforma elettiva del Csm toccherà solo i membri togati. Restano da sciogliere solo nodi tecnici. Il sorteggio, spiegano fonti del ministero, potrebbe essere “secco” oppure “mediato”. Nel secondo caso il procedimento si dividerebbe in due fasi. Una prima selezione, poi sottoposta al voto del Parlamento.

Si vedrà. Non prima di fine maggio: i tempi non erano maturi per un approdo in Cdm questo lunedì per le sensibilità diversissime emerse in maggioranza sul tema. Da un lato FdI e Mantovano che cercano un punto di caduta con i magistrati, dall’altro FI e Lega compatti dietro alla separazione delle carriere. Il cronoprogramma sulla giustizia nel frattempo va avanti. E per metà maggio, secondo quanto risulta al Messaggero, atterrerà in Cdm un decreto legge che interverrà su più fronti. A partire dai benefici penitenziari. Sembrava fatta in Parlamento per l’accordo - caldeggiato da Italia Viva e Forza Italia - su un sostanziale sconto di pena per i detenuti vicini alla liberazione (esclusi quelli condannati per reati ostativi): da 45 a 60 giorni ogni sei mesi per chi si distingue per buona condotta.

LA FRENATA

Da Nordio e il governo è infine arrivato uno stop. L’intesa avrebbe infatti preso la forma di un vero e proprio svuotacarceri con migliaia di detenuti pronti ad uscire da un giorno all’altro. Fatti i conti, il ministero ha deciso di frenare. Nel nuovo decreto sarà comunque cambiato il sistema attualmente in vigore. Resterà lo sconto di pena di 45 giorni ogni sei mesi, ma sarà “automatico” e non più legato a un via libera del Tribunale di sorveglianza, a meno che non si segnalino condotte violente.

Una soluzione per velocizzare le procedure e alleggerire i tribunali dalle montagne di fascicoli affastellati che spesso ritardano di mesi, se non di anni, la concessione degli sconti ai detenuti prolungandone la permanenza in carcere. Sono altre dunque le vie battute dal governo per fare i conti con l’emergenza sovraffollamento. Fra queste, l’istituzione di un “albo” delle cooperative per far lavorare all’esterno i detenuti a cui mancano meno di sei mesi di reclusione da scontare. Insomma, niente “svuotacarceri”, termine da sempre mal sopportato a destra e, a differenza dell’agognata separazione delle carriere, poco spendibile per la campagna delle Europee.


Ultimo aggiornamento: Sabato 4 Maggio 2024, 14:16
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