Viaggio in Azerbaigian, la terra dei guardiani del fuoco

Viaggio in Azerbaigian, la terra dei guardiani del fuoco

di Riccardo De Palo
dal nostro inviato

BAKU - Marco Polo, ancora ignaro di quello che sarebbero diventati per il mondo moderno i giacimenti di petrolio, descrive nel suo Milione una fontana d’olio dell’odierno Azerbaigian che scorre con grande abbondanza, tanto che se ne possono caricare cento navi per volta. Non si tratta, secondo il grande viaggiatore veneziano, di «olio da usare per condimento di cibi» ma buono soltanto «per ardere e ungere i cammelli». Erodoto, un millennio prima, quando si imbatte nel petrolio lo descrive sbrigativamente come «liquido puzzolente». Oggi, il viaggiatore che arriva in aereo a Baku vede subito dall’alto una miriade di pozzi off-shore, che si irraggiano nelle acque del Caspio. Appena sceso dalla scaletta, sente un odore salmastro, misto a spezie e idrocarburi, tangibile spia della ricchezza di risorse della regione.



LA CITTÀ DEL VENTO



Benvenuti a Baku. La città del vento. La capitale dello Stato nato dalle ceneri dell’Unione Sovietica, indipendente da poco più di un ventennio. Lingua di ceppo turco, oltre nove milioni di abitanti, età media 28,8 anni. Le riserve petrolifere sono stimate in 7 miliardi di barili, quelle di gas ammontano a 1.300 miliardi di metri cubi. Appena fuori dalla città, nella penisola di Absheron, sorgono i pozzi più antichi, quelli di epoca sovietica. Attorno ai sobborghi urbani si diramano ragnatele di tubature, gasdotti e oleodotti, che hanno preso il posto delle antiche carovane della via della seta. L’Azerbaigian oggi è il crocevia dell’energia, l’autostrada dei rifornimenti di Stati e multinazionali. Terminati il South Stream e il tracciato che porta in Turchia il gas dell’Est, si pensa agli ultimi progetti per portare fino in Puglia l’energia dell’Asia Centrale, con nomi astrusi come Nabucco e Tap.

Ma l’Azerbaigian è anche un Paese in crescita (+2,2% è la stima per l’anno di crisi globale in corso dopo gli exploit passati), che vuole investire nel turismo e nei servizi. Nel 2015 si terranno a Baku le prime Olimpiadi europee, e la città sembra un immenso cantiere. «Abbiamo molti alberghi a cinque e quattro stelle, ma pochi più economici, per la classe media, e vogliamo colmare questo gap», dice il ministro della Cultura e del Turismo, Abülfaz Qarayev, che non esclude di poter utilizzare gli edifici pensati per le delegazioni olimpiche per creare nuove strutture alberghiere. «Siamo andati a Bolzano - dice il ministro - per comprare le strutture sciistiche del primo centro alpino che abbiamo creato sulle montagne del Caucaso». Ed è curioso, da una pianura semidesertica, immaginarlo. Anche se questo Paese (grande un quarto dell’Italia) conta quasi tutti i climi del mondo.

Tra poche settimane verrà inaugurato il più grande Fairmont Hotel, che occuperà un intero grattacielo: una delle tre “torri di fuoco” ideate dal gigante dell’architettura mondiale HOK. Le torri, alte rispettivamente 190, 160 e 140 metri, dominano lo skyline di Baku dall’alto del quartiere di Yasamal. Di notte, animazioni avveniristiche le fanno apparire come se fossero fatte di fiamme. Un’opera di ingegneria estrema, che sottolinea l’etimologia della parola Azerbaigian, ossia “guardiani del fuoco”.



GIGANTI



Qui si giganteggia. Vicino al porto, tanto per gradire, svettano il pennone e la bandiera più grandi del mondo. Il Centro culturale Heydar Aliyev - nome del primo presidente del Paese nonché padre dell’attuale capo di Stato, eletto con percentuali che sfiorano il 90% - è stato creato dall’archistar Zaha Hadid. Qualcuno azzarda che il romano Maxxi avrebbe potuto essere così, se soltanto ci fossero stati i soldi per finirlo: un gigante bianco adagiato su una collina in periferia, volumi cangianti e arrotondati, grandi vetrate. Bellissimo. Presto sarà inaugurato con una mostra di Andy Warhol. Il Museo nazionale dei tappeti - anch’esso appena costruito sul grande Boulevard pieno di negozi di grandi griffe davanti al mare - ha la forma, per l’appunto, di un’enorme pila di tappeti arrotolati.



COMMISTIONE



L'appeal di Baku sta tutto in questa commistione di antico e moderno, di tradizione e innovazione. Con un occhio agli Stati petroliferi del Golfo. Le fiamme perenni di gas che ardono ancora, nel parco nazionale di Yanar Dag, e il tempio zoroastriano di Atashgakh, ricordano i tempi in cui il fuoco veniva venerato come simbolo di purificazione e di rinascita. Antichi ritrovamenti archeologici, cerchi di pietre e vasche votive, testimoniano quel passato remoto. Così come le migliaia di antiche incisioni rupestri, visitabili nella regione di Gobustan. E l’incisione più orientale di un legionario romano, rinvenuta poco distante. Ancora oggi pellegrini “farsi”, discendenti degli antichi uomini fedeli alle fiamme e scacciati dall’avvento dell’Islam, vengono qui dall’India alla ricerca delle proprie radici.



DINAMISMO



Un simile dinamismo attrae sempre più investitori dall’estero. L’interscambio commerciale con l’Italia si aggirava, nel 2011, attorno ai 9,5 miliardi di dollari. Le compagnie (32 quelle registrate) mostrano particolare interesse anche nei settori non energetici, come costruzioni, turismo, industria alimentare. La natura moderata dell’Islam di queste parti, unita a una stabilità politica persino eccessiva, attrae gli imprenditori. I punti vendita delle aziende italiane sono numerosi. L’interesse del governo è «di favorire gli investimenti da qualunque parte provengano», dice Adalat J.Muradov, direttore del Dipartimento di politica economica, analisi e previsioni del Ministero dello Sviluppo economico. «Gli italiani sono i benvenuti». I pronostici sono ottimistici, almeno dal punto di vista energetico «non ci saranno problemi» per i prossimi 50 anni. Specialmente dopo la scoperta del giacimento di gas di Shah Deniz, dalle riserve stimate in 1,2 miliardi di metri cubi. Ma per il 2020 si prevede che il reddito dalle attività non petrolifere salirà dall’attuale 53% del Pil all’80%. E questo grazie ai nuovi distretti industriali dedicati all’hi-tech, ma anche ai servizi, all’agricoltura, al turismo. Si investe sul «capitale umano». Ogni anno sono duemila gli studenti «meritevoli» che vanno all’estero per studiare. Ed è forse questa l’innovazione su cui dovremmo più riflettere. «Senza pietre non c’è arco», diceva il Marco Polo immaginato da Calvino nelle “Città invisibili”.

Ultimo aggiornamento: Lunedì 24 Giugno 2013, 15:45
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