Giovanna Pedretti, la ristoratrice suicida: non c’è il reato, resta la gogna

Nessuno può ergersi a giudice della fragilità altrui o di un momento di debolezza. E, in questo caso, nessuno è autorizzato a scagliare pietre (e post), sullo sfondo di un cortocircuito mediatico e istituzionale a tratti grottesco

Giovanna Pedretti, la ristoratrice suicida: non c’è il reato, resta la gogna

di Guido Boffo

Non c'è stata istigazione al suicidio. La morte di Giovanna Pedretti non è legata ai post del blogger Lorenzo Bigiarelli, che smascherarono una recensione “non genuina” su Facebook, opera della stessa ristoratrice. Sono le conclusioni a cui è giunta la procura di Lodi, che ha chiesto l'archiviazione. Ma l'esito della vicenda non giustifica in nessun modo la sua rimozione dalla coscienza collettiva. Se così fosse, sarebbe una tragedia assurda, all'opposto riteniamo sia una tragedia emblematica.

Investe la responsabilità dei social e dei loro campioni, gli influencer. Riguarda soprattutto la sproporzione delle forze in campo, da una parte migliaia di follower, una piazza virtuale pronta a stringersi a coorte, dall'altra un cittadino come tanti altri, oggettivamente incapace di reggere l'urto del tribunale del popolo. Da una parte la libertà di parola, dall'altra la libertà di sbagliare - anche smaccatamente, ad esempio inventarsi un caso di discriminazione per fare pubblicità al proprio locale. Nessuno può ergersi a giudice della fragilità altrui o di un momento di debolezza. E, in questo caso, nessuno è autorizzato a scagliare pietre (e post), sullo sfondo di un cortocircuito mediatico e istituzionale a tratti grottesco, compresa la convocazione in caserma della ristoratrice, su richiesta della procura, per accertare fatti senza rilevanza penale. Questo avveniva alla vigilia del suicidio. Stabilire un nesso causale tra quell'atto estremo e il fact checking di Bigiarelli, compagno di Selvaggia Lucarelli, era inverosimile. La richiesta di archiviazione non sorprende, semmai rassicura. Ma la dimensione penale, per fortuna, non esaurisce la complessità delle questioni che la triste fine di Giovanna Pedretti pone.

Alcune, in ordine sparso: chi assicura il bilanciamento tra un peso massimo (l'influencer volto televisivo) e un peso piuma (potenzialmente ciascuno di noi)? E' sufficiente accettare il confronto, come ha fatto la ristoratrice, per giustificare un accanimento virtuale, che poi virtuale non è affatto? Fa differenza se l'oggetto di un'intemerata o di un'inchiesta social sia un personaggio pubblico, che ricopre ruoli di vertice, un politico, una celebrità, un vip per così dire, oppure Giovanna Pedretti di Sant'Angelo Lodigiano? Qual era l'interesse collettivo dello smascheramento? Mettere in guardia una ristrettissima comunità di avventori? Le menzogne sono tutte uguali, quale che sia il mentitore, per i nuovi Torquemada? Pensiamo di no.

 

Ora qualcosa si sta muovendo, sulla scorta del pandoro-gate. L'Agcom ha stabilito che gli influencer dovranno sottostare alle regole previste per i media audiovisivi, mettendo in cantiere un decalogo, il governo ha sfornato un decreto Ferragni, a suo modo un decreto brandizzato. Una stretta non si nega a nessuno, persino alle potentissime big tech che sinora si sono dimostrate piuttosto riluttanti a regolamentare i contenuti social, se non maldestre negli esiti della logica algoritmica (pensiamo alla censura dei nudi storici, rispetto alle schifezze che passano quotidianamente). Tutelare i consumatori rispetto alle pubblicità ingannevoli è sacrosanto, scovare gli evasori doveroso, proteggere i minori fondamentale. Ma forse servirebbe un decreto Pedretti, che tracci un limite tra denuncia e gogna, tra influencer e polizia morale. Insomma, un'Authority per i nostri passi falsi.


Ultimo aggiornamento: Domenica 5 Maggio 2024, 01:35
© RIPRODUZIONE RISERVATA