«La mia titolare mi ha licenziata su WhatsApp quando sono rimasta incinta. Mi ha detto 'Ci potevi pensare prima'»

La proprietaria l'aveva registrata come prestazione occasionale senza versarle i contributi e non ha potuto chiedere la maternità all'Inps

«La mia titolare mi ha licenziata su WhatsApp quando sono rimasta incinta. Mi ha detto 'Ci potevi pensare prima'»

di Redazione Web

Cacciata al termine della gravidanza. È la storia di Silvia, 32enne e commessa di Nettuno, che si è ritrovata senza poter chiedere la maternità all'Inps e senza lavoro perché la proprietaria del negozio in cui lavorava da due anni aveva mentito sul tipo di contratto con la quale era stata assunta. Quando ha protestato per essere stata penalizzata in base al suo stato, la titolare le ha risposto: «Ci potevi pensare prima». Adesso, come ha raccontato la stessa Silvia a Fanpage, ha un bambino di cinque mesi e ha fatto causa alla sua titolare.

Il presunto contratto di collaborazione

«Non è giusto che la passino liscia», commenta Silvia, che ormai non è interessata all'entità del risarcimento ma ne ha fatto una questione di principio. Al momento dell'inizio del lavoro, le avevano detto di essere stata inquadrata come co.co.co. (contratto di collaborazione) ma ha avuto l'amara sorpresa dal commercialista: la proprietaria del negozio l'aveva registrata come "prestazione occasionale" e non le aveva versato mai i contributi. Ogni mese le veniva fatta firmare una fattura e le veniva poi accreditato lo stipendio sul conto: 700 euro per un full time, 40 ore di lavoro settimanali. La somma si riduceva a 500 se stava male o se prendeva qualche giorno di ferie.

Gli straordinari, fatti anche in gravidanza, non erano mai pagati.

In preda alla rabbia, Silvia ha telefonato alla proprietaria del negozio che le ha ribattuto che non doveva consultare un commercialista ma andare a parlare con lei. Quando la giovane le ha comunicato di essere incinta e le ha domandato quali fossero le sue garanzie, la proprietaria le ha risposto che ci poteva pensare prima di restare in dolce attesa. La telefonata si è conclusa con la richiesta da parte della titolare di formare una ragazza che avrebbe preso il suo posto. «La cosa brutta è che a sentirmi sporca sono stata io», confessa Silvia.

La dinamica del licenziamento

Non contenta di averla umiliata, la negoziante ha fatto di tutto per metterla a disagio criticando il suo lavoro sul gruppo WhatsApp con i colleghi e mettendo cartelli fuori dal negozio con la scritta ‘Cercasi personale'. Lo stress per questa situazione l'ha portata ad avere diverse minacce d'aborto che l'hanno spedita all'ospedale. A fine gravidanza, il rapporto di lavoro è stato chiuso con un messaggio WhatsApp scritto dal padre della titolare. Il giorno stesso Silvia ha chiesto al suo avvocato di scrivere alla proprietaria per avere un'interruzione del legame lavorativo più formale e le hanno inviato una diffida.

Silvia in tutti questi mesi non ha percepito alcuna maternità in un periodo economico non felice. Se l'è cavata con l'aiuto dei suoceri e dei fratelli, essendo senza genitori. «Mi chiedo come sia possibile che al mondo esistano persone così cattive - riferisce - che non si fanno problemi a fare del male e danneggiare una persona con cui sono stati a stretto contatto fino al giorno prima».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 17 Aprile 2024, 21:20
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